MELFI: Uomini senza dignità!

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Messaggio  Admin Gio 26 Ago 2010, 01:31

MELFI: Uomini senza dignità! Melfi_10

Melfi, un finto problema per capitalismo e sindacalismo, due facce della stessa medaglia, la “democrazia” asservita al potere economico mondiale.

Da una parte la Sata Spa., è questo il nome, “Società Automobilistica Tecnologie Avanzate”, con cui il gruppo Fiat ha dato vita - con contributi e agevolazioni pubbliche - ad un nuovo tipo di produzione.
Dall’altra Fiom Cgil, che negli anni ‘90 ha sottoscritto il progetto caldeggiato dall’allora amministratore delegato (Fiat) Cesare Romiti che prevedeva un nuovo ruolo e un nuovo clima per i lavoratori, necessario anche per far passare l’esigenza di turni più intensi e un livello del salario ridotto rispetto agli altri stabilimenti.

La difesa da parte del sindacato “comunista” dei tre operai, Antonio Lamorte, Giovanni Barozzino e Marco Pignatelli, non è altro che il seguito dell’accordo del 1990, allora la Fiat con soldi pubblici impiantava nel Sud un nuovo impianto con lo scopo di assorbire parte dell’enorme numero di disoccupati, senza doversi preoccupare delle possibili perdite perché a ripianarle pensava lo Stato, mentre la Fiom Cgil, aumentava le quote sociali, pagate dai nuovi operai asserviti al capitalismo. Al governo, all’industria e al sindacato, all’epoca, non interessava se quell’impianto dava profitto, doveva servire da ammortizzatore sociale.

Persa la copertura, a prescindere, delle perdite, la Fiat, che da sempre ritiene l’impianto di Melfi zavorra per il proprio sistema industriale, utilizza strumenti utili che portano a forti risparmi nella gestione degli impianti, specie con lo strumentale utilizzo della cassa integrazione concordata di volta in volta dall’azienda con il sindacato, sindacato che strumentalmente, subito dopo spinge i lavoratori allo sciopero. Sciopero che la notte tra il 6 e il 7 luglio ’10 se pur proclamato da tempo ebbe una scarsissima adesione, tanto da permettere alla catena di montaggio la più ampia produttività.

Con questa vertenza si vuol far scordare, proprio l’insuccesso di quello sciopero, (durante il quale un carrello automatico di un reparto è stato bloccato intenzionalmente) fatto per evidenziare, lo scarso rispetto dei lavoratori da parte della Fiat che dopo aver annunciato più di due settimane di casa integrazione aumentava i ritmi di lavoro.

Quale migliore occasiona per licenziare tre sovversivi sfaticati, lavoratori che in nome della resistenza pensano di sfruttare l’azienda e i colleghi, in una causa strumentale, nella quale si annidano interressi che sindacato ed azienda nascondono alla categoria “operaia”.
Il ricorso d’innanzi al giudice del lavoro ha portato alla integrazione nel posto di lavoro dei licenziati, ma sta creando nuovi conflitti fra capitale e lavoro. un conflitto che la Fiat ha tutto l’interresse d’alimentare, pagando ai tre operai quei salari di fame che un giudice “sovversivo” ha voluto garantire loro,

Formalmente la multinazionale dell’auto ha adempiuto l’obbligo di riammettere i tre in azienda ma togliendo loro la dignità del lavoro, considerato che li ha confinati nella saletta delle rappresentanze sindacali. Oltre non andranno anche perché i guardiani privati, sono pronti ad imporre loro la disciplina gerarchica, che dall’invasione dei liberatori garantisce la libertà di impresa, senza intrusioni, in evidente disprezzo dell’articolo 41 della Costituzione, scritta dai clerico-comunisti su dettatura delle nazioni occupanti.
Inutile risulta lo Statuto dei Lavoratori per difendere le ragioni di chi, secondo il giudice, è stato ingiustamente licenziato.

È palese il legame tra questa vertenza e la possibile attuazione del notevole piano industriale previsto dalla Fiat in Italia. Un obiettivo importante da realizzare con il concorso di tutte le componenti del sistema politico-sindacale alla ricerca di una nuova sintesi tra diritti e progetti industriali.

L’appello dei tre operai al (compagno) presidente della repubblica Napolitano e la conseguente risposta sono solo atti formali, visto che in tutta la vicenda il governo si è tenuto alla larga, escludendo intenzionalmente di svolgere un ruolo di raccordo e di dialogo, ruolo che il fascismo riteneva obbligatorio, e che nel ventennio seppe intrattenere con il potere economico e con il lavoro.

La seconda guerra mondiale, nel mondo, e la resistenza asservita agli alleati in Italia, fermarono quei processi modificatori del sistema economico che stava iniziando a svilire capitalisti, massoni sionisti.

Lo stato fascista stava costruendo la "terza via" tra capitaslimo-liberismo e socialismo-comunismo, attraverso la costituzione dello Stato Corporativo (creando sindacati obbligatori con un limitato diritto di scioperi e serrate! per il superiore bene della nazione) e la socializzazione delle imprese, con la quale la proprietà dei mezzi di produzione sarebbe dovuta passare dai proprietari capitalisti ai lavoratori, eliminando di fatto la figura del dipendente: queste riforme furono osteggiate ovviamente dalle lobby economiche, dalla Chiesa, alla massoneria e dai sionisti, è non poterono divenire strutturali per l’attacco plutocratico che il Regime dovette subire. All'interno della riforma si prevedeva la ripartizione degli utili secondo meritocrazia su decisione collegiale di tutti i lavoratori-proprietari.

Vili capitalisti e sovversivi, ancora oggi attaccano (mentendo) la politica sociale del fascismo, scordando che Mussolini era un figlio del popolo che affermava: « I nostri programmi sono decisamente rivoluzionari le nostre idee appartengono a quelle che in regime democratico si chiamerebbero "di sinistra"; le nostre istituzioni sono conseguenza diretta dei nostri programmi; il nostro ideale è lo Stato del Lavoro. Su ciò non può esserci dubbio: noi siamo i proletari in lotta, per la vita e per la morte, contro il capitalismo. Siamo i rivoluzionari alla ricerca di un ordine nuovo. Se questo è vero, rivolgersi alla borghesia agitando il pericolo rosso è un assurdo. Lo spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro cui lottiamo senza sosta, viene da destra. A noi non interessa quindi nulla di avere alleata, contro la minaccia del pericolo rosso, la borghesia capitalista: anche nella migliore delle ipotesi non sarebbe che un'alleata infida, che tenterebbe di farci servire i suoi scopi. Sprecare parole per essa è perfettamente superfluo. Anzi, è dannoso, in quanto ci fa confondere, dagli autentici rivoluzionari di qualsiasi tinta, con gli uomini della reazione di cui usiamo talvolta il linguaggio » (Benito Mussolini, Milano, 22 aprile 1945).
I servi del capitalismo sappiano prendere insegnamento anche dai fatti di Melfi, dove il popolo del lavoro “manuale” è stato abbandonato ed umiliato.
Noi fascisti; continueremo la nostra lotta contro gli interessi privati delle lobby, del potere clericale, dei massoni, dei politici burattinati di questa “democrazia”, per giungere ad una democrazia partecipativa che sappi calmierare la ricchezza privata, perché l'accumulo di proprietà diventa una ingiustificata forma di potere.
Noi lotteremo, per la libertà d’impresa, una libertà che deve garantire la piena realizzazione dei cittadini ed il loro benessere, capace d’abbattere la precarizzazione attraverso la meritocrazia, sconfessando raccomandazioni e nepotismi che premiano i mediocri e a tempo stesso avvilisce lo Stato e i suoi cittadini.
Abbattere questa finta democrazia e un dovere di tutti gli italiani di buona volontà, che ritengono importante la rinascita della nazione senza elemosinare diritti che, uno vero Stato deve garantire ai propri cittadini in cambio di una equa tassazione.
IL LAVORO NON PUO’ RESTARE UNA ENUNCIAZIONE COSTITUZIONALE DEVE ESSERE UN DIRITTO
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