Il liberismo prima la sottopaga, e dopo la usa come fattrice.

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Messaggio  Admin Dom 12 Set 2010, 23:30

Il liberismo prima la sottopaga, e dopo la usa come fattrice. Assess11


Magistrati e servizi sociali in nome delle leggi che la “democrazia capitalista” si è dato, decidono di privare una madre della figlia, subito dopo il taglio del cordone ombelicale.

Quando all’inizio della gravidanza la giovane si rivolse alle strutture mediche queste la esortarono caldamente di abortire, di disfarsi del bimbo che aveva in pancia, ma la giovane donna ha portando a conclusione la gravidanza.

Nel mese di luglio le avevano sottratto la neonata subito dopo il parto per ordine del Tribunale dei minori (da allora la mamma non ha più potuto vederla né avere sue notizie), il quale relazionato dai servizi sociali prende l’irresponsabile decisione di sospendere la potestà genitoriale, impedito perfino a quel corpicino il primo rapporto fisico con il corpo della madre.
Se già il parto è un trauma, la separazione successiva è un’esperienza ancora più devastante.

La scandalosa sentenza emessa in un Tribunale del ricco nordest, e precisamente della provincia di Trento, consente da subito l’affidamento in preadottamento, (in anticipo sui termini stabiliti dalla legge) senza attendere, nemmeno, il mese utile per l’impugnazione della sentenza.
Il caso della neonata era stato sollevato due mesi fa dallo psicologo Giuseppe Raspadori, consulente di parte, che aveva parlato di <<atto contro natura>> da parte dei magistrati che <<avevano messo il dubbio la capacità genitoriale contrapponendo l’interesse della madre a quello del minore>>.
Lo stesso presidente nazionale dell’ Associazione avvocati matrimonialisti italiani, Gian Ettore Gassani, ha espresso sconcerto, parlando di ''provvedimento grave che reciderà per sempre i rapporti tra madre e figlia'', l'avv. Gassani prosegue evidenziando che '' si ripropone con forza la necessità di rivedere gli orientamenti della giustizia minorile e le relative prassi ''.
Magistrati e assistenti sociali a cui, la “democrazia capitalista” fondata sul lavoro, garantisce migliaia di euro. Magistrati che di norma lavorano poco, accumulando ritardi cronici nel condannare delinquenti e assassini, Assistenti sociali che, come le banche aiutano chi non ha bisogni, si sono arrogati in poche ore il diritto di recidere un legame di sangue (genitoriale) in base alla capacità di reddito. Per la giustizia italiana infatti la l’amore materno ha un prezzo e di sicuro, pare, superi i 500 euro al mese, cioè il reddito della giovane madre.
Non serve che la giovane non sia tossicodipendente, non abbia malattie contagiose o pericolose per la sua creatura. È solo povera.
Insomma, chi è povero ma non accetta di ammazzare il figlio in grembo, non si lagni se poi succede quel che succede.

Il Tribunale dei minori emettendo questa sentenza fa della gravidanza un privilegio, un diritto variabile, concesso solo a chi ha un Cud sopra il livello di povertà. Gli altri non si azzardino e per chi sbaglia c’è sempre l’aborto. Per questi signori, la povera mamma trentina è colpevole di «immaturità, povertà materiale ed emotiva» aggravate «dall’avvio della gravidanza come elemento di fragilità, colpa e incoscienza».
A finire bruciate, sono state la regola di vita e la compassione umana, assassinate da un insensato e assurdo rigore burocratico. Ora gli aspiranti, facoltosi, genitori e le mamme d’Italia sterili ma desiderosi di figli si possono fare sotto e presentare regolare domanda nel mercato delle adozioni.

La coraggiosa mamma, che come detto, non vede la sua bimba dal giorno in cui è nata e non ha potuto neppure avere notizie perché i Servizi sociali hanno imposto il divieto più assoluto, è decisa a proseguire nei suoi sforzi per riavere la sua bambina che non vuole in nessun caso abbandonare.

Nella società liberale lo Stato alimenta i ricchi depredando la povera gente.
Quest’altro increscioso provvedimento emesso in questa “democrazia rappresentativa” asservita al capitalismo, nel ventennio Fascista non l’avrebbe trovato leggi a supportarlo, infatti, le leggi sociali dell’epoca miravano ad aiutare le madri, noi Fascisti, ricordiamo l'Opera nazionale maternità e infanzia, istituita con la legge 10 dicembre 1925, n. 2277, e regolamentata con l’approvazione del regio decreto n. 718 del 15 aprile 1926, altre modifiche alla legge n. 2277 furono portate con il regio decreto 21 ottobre 1926, n. 1904.

La legge del 1925 pose tra gli scopi prioritari dell'ONMI tutte le istituzioni pubbliche e private per l'assistenza e protezione della maternità e dell'infanzia.
Le leggi del fascismo, si proponevano esplicitamente di "provvedere alla protezione ed assistenza delle gestanti e delle madri bisognose o abbandonate, dei bambini, lattanti e divezzi, appartenenti a famiglie bisognose che non potevano prestare loro tutte le necessarie cure per una razionale crescita, dei fanciulli fisicamente o psichicamente anormali e dei minori materialmente o moralmente abbandonati", oltre che di quelli traviati o delinquenti fino all'età di diciotto anni compiuti.
Altri scopi dell'ONMI erano incoraggiare il sorgere di scuole teorico-pratiche di puericultura; organizzare, in accordo con amministrazioni provinciali, ufficiali sanitari e autorità scolastiche, vigilare sull'applicazione delle disposizioni legislative e regolamentari in vigore per la protezione della maternità e dell'infanzia.
Le federazioni provinciali provvedevano all'esecuzione sul territorio di quanto ordinato dalla sede centrale dell'ONMI di Roma; dirigevano e coordinavano l'attività delle istituzioni di assistenza valendosi di propri ispettori e richiedendo, ove occorresse, l'opera di uffici pubblici e ispettori governativi.

L’ONMI organizzava l'assistenza alla maternità con ambulatori specializzati; esercitava la vigilanza igienica, educativa e morale sui ragazzi minori di quattordici anni collocati presso nutrici o istituti di assistenza e beneficenza; provvedevano al ricovero e all'educazione di fanciulli abbandonati; denunciava all'autorità giudiziaria le violazioni della legge sul lavoro delle donne e dei minori.
All'istituzione dell'ONMI seguì la costituzione di organi sanitari e di assistenza materiale quali i consultori pediatrici e ostetrico-ginecologici, i consultori prematrimoniali e matrimoniali, i refettori materni e gli asili nido, i dispensari di dermatologia sociale e i centri medico-psicopedagogici.

Dopo due leggi correttive della normativa precedente (legge 23 giugno 1927, n. 1168 recante concessioni di esenzioni fiscali e tributarie all'ONMI, e legge 5 gennaio 1928, n. 239 relativa alla conversione in legge del r.d.l. 21 ottobre 1926, n. 1904), la nuova legge 13 aprile 1933, n. 298 riorganizzò l'intero ente nazionale secondo le direttive impartite direttamente da Mussolini.
La legge n. 298 del 13 aprile 1933 aggiornò e perfezionò quella del 1925, con l'obiettivo di un più stretto rapporto istituzionale tra le articolazioni territoriali e quelle centrali.
A seguito di questa legge i comitati comunali ONMI furono indirizzati a confluire nell'Ente opere assistenziali (EOA).

L'ONMI HA CESSATO DI ESISTERE CON L’APPOVAZIONE DELLA “DEMOCRATICA” LEGGE N. 698, del 23 dicembre 1975.

Lo sconcerto espresso in questa occasione non può bastare, in quanto, ormai gli abusi giudiziari contro i minori debbono ritenersi una prassi, se è vero quanto affermato dell’avvocato Gassani: la colpa di tutto sarebbe dei servizi sociali che risultano essere “sempre più incidenti nelle decisioni dei giudici minorili, avendo spesso stravolto il loro compito di limitarsi a ‘fotografare’ una determinata situazione senza ergersi a consulenti né tanto meno a suggerire ai magistrati l’adozione di provvedimenti giurisdizionali”. Proponendo quindi di rivedere gli orientamenti della giustizia minorile.

A difendere le assiste'anti sociali che hanno stilato l’incipit del romanzo criminale trentino è l'Assessore provinciale alle politiche sociali della Provincia autonoma di Trento Ugo Rossi, il quale affermando di non poter permettere ''che notizie come queste, enfatizzate in gran parte dalla stampa, vadano a screditare il lavoro del Tribunale e dei servizi sociali accusati di faciloneria, insensibilità e ingiustizia”, e aggiungendo, “non possiamo far passare il messaggio che e' sufficiente essere economicamente in difficoltà per vedersi sottrarre un figlio o che le Istituzioni puniscano anziché aiutare le persone indigenti '', difende questa imbelle “democrazia”, negano nei fatti e quello che è accaduto.

Questa falsa democrazia deve al suo popolo tante risposte, noi ne chiediamo solo due:
- Chi potrà mai risarcire la bimba per la crudeltà consumata nei primi istanti della sua venuta al mondo?
- Chi calcolerà i danni e le sofferenze che mamma e figlia dovranno sopportare per una sentenza sacrilega?
La neonata crescerà in un ambiente che questo regime le imporrà, ma non potrà mai conoscere la sua vera madre. E lei non potrà mai più riabbracciare la sua piccola.

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