Da liberapresenza, l'augurio di un Felice Anno Nuovo

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Messaggio  Admin Dom 05 Dic 2010, 11:27

Da liberapresenza, l'augurio di un Felice Anno Nuovo Botti-12

Sfiduciare il governo: Un’altra occasione per abbattere il sistema. Ripartendo dal passato per guardare all’avvenire.

Ci è stato insegnato che nell’organizzazione dello Stato liberale o moderno, il popolo viene rappresentato nell’esercizio del potere statale, attraverso il Parlamento.
Per questa sua caratteristica funzione di attuare la rappresentanza del popolo al potere statale, il Parlamento viene definito fra tutti gli organi dello Stato, il più importante.
Lo Stato moderno chiama il popolo all’esercizio del potere sovrano. E poiché il popolo non può esercitare direttamente tale potere, in sua vece e rappresentanza viene fatto partecipare un numero limitato di persone, dando la sensazione che la scelte è del popolo stesso; tali persone costituiscono l’organo Parlamentare, che come si continua a costatare è da sempre asservito al potere economico.

In Inghilterra la parola Parlamento cominciò ad essere usata a partire dal secolo XV; si designava con essa la Camera dei Lords e la Camera dei Comuni, congiuntamente.

In Francia si avevano le <<Corti di giustizia>> (la più antica era quella di Parigi) che tramontarono nel 1790.

Nel sec. XIX e nel XXI, la voce Parlamento è il termine comune per indicare le assemblee politiche dello Stato liberale o moderno.

Anche negli Stati assoluti vi erano assemblee politiche; erano denominati stati generali.

Le assemblee politiche dello Stato assoluto se pur profondamente diverse da quelle dello Stato liberale o moderno influivano nei confronti del popolo allo stesso modo, esse raccoglievano i rappresentanti dei diversi ordini o ceti, per tutelare, di fronte al sovrano ed agli altri, i privilegi del proprio ordine e per temperare il potere assoluto nell’interesse del proprio gruppo privilegiato, secondo le istruzioni ricevute, alle quali i rappresentanti inviati alle assemblee erano vincolati dell’osservanza delle quali dovevano poi rendere conto.

La dottrina della rappresentanza politica fu elaborata durante il secolo XIX, attraverso l’esperienza dell’istituto parlamentare, modello imposto rigorosamente nei possedimenti inglesi. Non si conseguirono, però, risultati chiari ed esaurienti. Soprattutto gravi risultarono le divergenze sul punto se il Parlamento, per natura elettiva, potesse considerarsi organo dello Stato od organo della società: l’antitesi fra questi due concerti non era superabile per le posizioni mentali del tempo.

In Italia, l’istituzione parlamentare, per ciò che riguarda anche il diritto positivo, risultò composta di tre organi distinti: la Corona, il Senato, la Camera dei Deputati.
Nel linguaggio comune si indicò, e si indica tuttora come Parlamento, l’insieme delle sole due Camere. Il sistema fu definito, e si definisce tuttora, bicamerale: nel ventennio Fascista una Camera era di nomina regia, mentre l’altra fino alla XXIX Legislatura era di nomina elettiva.
L’istituzione parlamentare in tal modo esprimeva, il compromesso adottato dal costituzionalismo liberale per risolvere la lotta tra il monarca e il popolo dalla quale esso era scaturito.

Precisamente, all’epoca, il compromesso si concretava:
- nella coesistenza di due organi concorrenti nella medesima funzione legislativa;
- nella devoluzione alla potestà regia della formazione del Senato.
La prerogativa regia, nella formazione del Senato, doveva costituire il contrappeso alla procedura elettiva accolta per la formazione della Camera dei Deputati, in ossequio al principio della sovranità popolare.
La Statuto Albertino affermava, infatti, - per ciò che attiene all’Italia – con l’articolo 33: <<Il Senato è composto di membri nominati a vita dal Re in numero non limitato>>; e con l’articolo 39: << La Camera elettiva è composta di Deputati scelti dai collegi elettorali conformemente alla legge>>.

Nella pratica, nonostante questi preventivi equilibri, non si poté impedire il rapido declinare del sistema verso il parlamentarismo, e quindi il trasferimento della funzione direttiva di Governo dalla Corona alla Camera elettiva. La funzione esecutiva rimase (come accade oggi) paralizzata dalla funzione legislativa.
Solo la Camera dei Deputati aveva il diritto di considerarsi unica rappresentanza della sovranità popolare: di conseguenza il suo strapotere, stimolo l’arbitrio e il disordine.
L’elezione a deputato (in passato come nel presente) avrebbe dovuto costituire una designazione di vera capacità: l’elettore, invece, non si preoccupava affatto di quella che poteva essere la capacità intellettuale, la cultura o la competenza tecnica del candidato; si preoccupava solo delle idee o delle opinioni politiche del candidato stesso, con la persuasione che questi, una volta eletto, avrebbe propugnato, o dovuto propugnare in Parlamento la realizzazione dei postulati e del programma politico che aveva in comune con l’elettore.
La Camera elettiva finiva (e finisce) cosi per essere un organo tutt’altro che rappresentativo; la sovranità popolare non era (non è) che una grande menzogna; assai raramente si entrava nella Camera dei Deputati per sola autorità e prestigio personale. Le vie normali erano: i servizi resi o da rendere ai grandi elettori; le amministrazioni pubbliche messe al servizio dei clienti del Governo che faceva le elezioni; la demagogica infatuazione delle masse: <<La rappresentanza nazionale>> sorta da queste torbide origini, brigava nei corridoi, ricattava (ricatta) il potere esecutivo, preparava gli assalti alla diligenza, insidiava e diminuiva in mille modi l’autorità dello Stato. Il senso dei grandi interessi nazionali diminuiva tanto più in questa assemblea, quanto più saliva l’incoscienza delle fazioni.

Tempi inquieti: generale marasma europeo, difficoltà economico-sociali nella vita interna del paese, si ripercuotevano sul Parlamento già spezzettato in gruppi o gruppetti, alla loro volta divisi e stradivisi: estrema sinistra, sinistra, centro sinistro, centro destro, destra; liberali democratici, democratici liberali; socialisti ufficiali, socialisti riformisti …
Si è entrati nella grande guerra con un Parlamento giolittiano, fondamentalmente contrario, dimostrando il grande distacco tra popolo e potere. Mai, come nella crisi della neutralità, l’organismo parlamentare si rivelò cosi inutile. La volontà d’intervento maturò fuori e contro la Camere. Tutta la politica italiana di guerra finì per risentire di questo contrasto tra una concordia apparente e una frequente ambiguità d’azione. Il potere esecutivo trovava non pochi impacci nel Parlamento.

Non è senza significato che un solo deputato italiano cadde combattendo, l’onorevole BRANDOLIN.

Mentre al fronte si combatteva e si moriva, il Parlamento seguitava a trastullarsi in congiure, in accuse, in recriminazioni, nelle quali affioravano il fondamentale dissidio iniziale tra <<neutralisti>> e <<interventisti>> e le diverse concezioni di una guerra <<democratica>> o <<nazionale>>.
Né il mutare del governo migliorò la situazione: le difficoltà contro cui s’era battuto Salandra, rinacquero con Borselli e non cessarono con Orlando.

Nel dopoguerra la situazione andò peggiorando: la debole politica di governi incapaci, l’istigazione contro la guerra e i suoi autori, l’esempio russo ebbero i loro effetti. Tante disgrazie non potevano non influire sulle trattative di pace. Il Governo deve lottare contro gli alleati e contro il Parlamento.

Lo scrutinio di lista, con rappresentanza proporzionale, mandò alla Camera, nelle elezioni del novembre 1919, 156 socialisti e 102 popolari, rappresentanti questi del nuovo partito sorto nel gennaio 1919 con un programma tendente alle demagogie dell’ora, gl’ideali nazionali e la guerra sofferta e vinta furono difesi – fin che possibile – dal Fascio Parlamentare che raccoglieva i pochi nazionalisti ed i liberali di destra.

Durante i governi di Nitti e di Giolitti, il movimento Fascista, appena nato, affrontò esasperato il social-comunismo e gli scioperi a catena. La debolezza della politica interna ed esterna aveva soverchiato le capacità politiche dello stesso Giolitti. Il suo tempo era compiuto, come compiuto era il tempo della onnipotenza Parlamentare. La Rivoluzione era in atto; al di fuori del Parlamento, popolari e social-comunisti attaccavano i fascisti.

Le elezioni del maggio 1921 segnarono la grande crisi parlamentare del dopo guerra: mezzo milione di elettori si spostò da sinistra a destra: i socialisti, scissi dai comunisti, scesero da 156 a 122, entrò finalmente alla Camera Mussolini, con la sua prima falange fascista: 33 deputati.
Falliti i tentativi di conciliazione, non accolto l’invito mussoliniano per un accordo fra i tre grandi partiti di massa, caduta una manovra socialdemocratica (mozione Celli, 22 febbraio 1922) contro il Fascismo, i tempi precipitarono.
<<Non si va contro il Fascismo e non si schiaccia il Fascismo>>, aveva ammonito Mussolini.

Fu questa incapacità del Parlamento di rispondere alle aspirazioni vere della società nazionale, che spinse il Fascismo ad erigersi sin dalle origini, con atteggiamento antiparlamentare, e ad indurlo ad una revisione critica del concetto di rappresentanza da attuarsi su ben differenti basi (quelli della partecipazione).
Il Fascismo ha raggiunto l’obiettivo facendo, soprattutto, venir meno l’antitesi fra Corona e popolo – di cui abbiamo fatto cenno-preconcetto che irrefutabilmente era alla base dell’istituzione parlamentare, nel suo bicameralismo primitivo.

Al di fuori dell’esautorato Parlamento, si svolsero le ultime battute della lotta.

Sin dal discorso di Piazza S. Sepolcro Mussolini aveva affermato: <<L’attuale rappresentanza politica non può bastare, vogliamo una rappresentanza diretta dei singoli interessi…>>. Si potrebbe dire contro questo programma che si ritorna verso le corporazioni. Non importa. Si tratta di costituire dei consigli di categoria che integrino la rappresentanza esclusivamente politica. Ma non possiamo soffermarci sui dettagli. <<Fra tutti i problemi quello che oggi interessa di più è di creare la classe dirigente e di munirla dei poteri necessari…>>.

Anche il programma del Partito Fascista, prima della Marcia su Roma, si era posto il problema circa la rappresentanza:
<< Lo Stato deve investire di capacità e di responsabilità le associazioni, conferendo anche alle corporazioni professionali ed economiche (queste erano allora associazioni di categoria, cui facevano capo datori di lavoro, lavoratori e tecnici) diritto di elettorato al Corpo dei Consigli Tecnici Nazionali. Per conseguenza debbono essere limitati i poteri e le funzioni attualmente attribuiti al Parlamento…>>.

L’ultima fase della XXVI legislatura vide una Camera nella sua maggioranza non fascista, collaborare però più o meno di buona voglia, con il nuovo Governo. Incominciava, cosi, la trasformazione del Parlamento.
La riforma del 1923 creò il collegio nazionale unico con 15 circoscrizioni a sistema maggioritario, con rappresentanza proporzionale solo per le minoranze.
Di fronte alla maggioranza decisamente fascista, le opposizioni si coalizzarono dando sfogo alla sedizione dell’<<Aventino>>, evento stroncato dal discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925, che vede sparire definitivamente dal Parlamento italiano ogni forma di reminiscenza demosocialiberale.

Successivamente, il problema costituzionale del Parlamento veniva da Mussolini nettamente e potenzialmente risolto quando pronunciò, nel 1926, il grande discorso dell’ Ascensione…: <<Che cosa succederà di questa Camera? Questa Camera, che ha nobilmente e costantemente servito la causa del Regime, durerà per tutta intera la legislatura… Ma è evidente che la Camera di domani non può rassomigliare a quella di oggi…>>.

Radicale fu la riforma del 1928. i deputati furono ridotti a 400; le candidature designate dalle confederazioni sindacali, scelte e proposte dal Gran Consiglio del Fascismo con lista nazionale da approvare o da respingere in blocco.
Elezioni plebiscitarie che si svolsero nel 1929 e del 1934.
Il Parlamento si avviava man mano alla riforma in senso corporativo, rendendosi superiore alle piccole lotte di un tempo e venendo cosi restituito alla sua naturale funzione.
Lo Stato corporativo fascista, si è delineato nell’ordine politico e istituzionale, affermandosi magnificamente e attuatosi sempre più come uno Stato coincidente con la stessa e intera collettività nazionale, corporativamente organizzata. Con l’organizzazione corporativa del popolo si è costruito non solo lo Stato e il corpo sociale nel loro insieme, ma una forma tra le due entità, senza opposizione o distinzione alcuna. Il corpo sociale, corporativamente organizzato, è esso stesso lo Stato e questo altro non è che l’organizzazione sociale che si governa da sé.
L’istituzione che realizza la sintesi, è la Corporazione, nella quale, appunto si ordina il popolo, ABBANDONANDO il vecchio ATOMISMO e la vecchia LIBERTA’ PRIVATISTA, e si contrae e si risolve lo Stato, cioè il potere assoluto, che diventa prerogativa e funzione della stessa organizzazione corporativa.
L’ascesa del principio corporativo, dal piano delle forze e degli interessi sociali a quello delle funzioni e dei poteri costituzionali, dall’ordine normativo, cioè, a quello legislativo, costituisce l’essenza della riforma in senso corporativo della Camera dei Deputati: il potere legislativo non si è che informato alla logica strutturale del principio corporativo.
L’istituzione della nuova assemblea e la conseguente riforma del Consiglio Nazionale delle Corporazioni hanno integrato e portato al suo logico svolgimento la riforma costituzionale che, inizia al tempo della Marcia su Roma, ebbe la sua prima decisa espressione giuridica nella legge fondamentale del 24 dicembre 1925 – IX, n. 2263, sulle attribuzioni e prerogative del Capo del Governo, adeguandosi al progredire ed al perfezionarsi dalla nuova organizzazione della Nazione, tutta ordinata nei Fasci, nei Sindacati e nelle Corporazioni.
Siamo cosi entrati – la definizione è di Mussolini – nella terza fase della Rivoluzione, nella fase della riforma costituzionale.

La prima, fino a tutto il 1933, consistette nelle leggi del 1925-26, per la conquista dello Stato; nella legge per il Gran Consiglio, 1928; nelle leggi sindacali del 3 aprile 1926; nella Carta del lavoro del 1927; nella legge del 20 marzo 1930 sul Consiglio Nazionale delle Corporazioni.

La seconda, che prese le mosse dalla legge 5 febbraio 1934, istitutiva delle Corporazioni, fu caratterizzata dal lavoro intenso degli organi sindacali corporativi e dalla sempre più potente e metodica azione del Partito, interprete immediato delle aspirazioni del popolo. Svolgimento naturale e logico, graduato negli anni, con una continuità che non è solo di tempo, ma di principii rigorosamente interpretati ed applicati.

Il nuovo sistema legislativo rimane bicamerale: col Senato, inalterato nella sua costituzione, e la Camera, costituita dalla riunione del Consiglio Nazionale del Partito e del Consiglio Nazionale delle 22 Corporazioni.

Non ci sono elezioni politiche; e le rinnovazioni si attueranno in relazione al decadere <<dei consiglieri nazionali>> dalle loro rispettive funzioni originarie.

Entrate le norme e gli accordi economici delle corporazioni nel nostro diritto costituzionale, regolate dalla legge sul Consiglio Nazionale delle Corporazioni, dalla legge sulle Corporazioni, dal decreto- legge 15 aprile 1935 che trasferisce dall’Assemblea Generale del Consiglio Nazionale delle Corporazioni al Consiglio Corporativo Centrale la competenza di approvare le norme elaborate dalle Corporazioni.

Veniva assegnato, per la discussione di nuove disposizioni, il termine di un mese dalla presentazione, termine prorogabile dal Capo del Governo, il testo discusso e approvato dalle Commissioni legislative della Camera e del Senato veniva trasmesso al Capo del Governo: questi lo sottopone alla approvazione del Sovrano. La promulgazione avviene nei modi ordinari.

Il Fascismo soppresse la Camera dei Deputati alla fine della XXIX Legislatura, ed ha dato inizio alla nuova attività della <<Camera dei Fasci e delle Corporazioni>>. Era il ventennale della fondazione dei Fasci di Combattimento; quanta storia nel periodo di soli venti anni!

Nel secolo del Fascismo, altri popoli e Governi si rivolgevano a Roma per studiare le istituzioni e gli ordinamenti politico-sociali dell’Italia, la Camera dei Fasci e delle Corporazioni è il nuovo originale modello di assemblea cui volevano ineluttabilmente ispirarsi gl’altri Stati che volevano adeguarsi ai nuovi tempi.
Ancora una volta è Roma a dare l’esempio e indicare vie nuove.
Ancora una volta è una creazione mussoliniana che tende ad affermarsi come la più originale conquista dei popoli dell’epoca.

L’egoismo delle “democrazie” plutocratiche asservite al capitalismo, per fermare queste conquiste sociali che il Fascismo dette al suo popolo, volle la guerra, rendendoci una nazione serva in libertà, senza Governo e con un grande debito da onorare. Lasciando perdere che in questo secolo, in tempo di pace, bastano pochi traditori per mantenere in crisi permanente il Governo e un’interra Nazione.

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