70° anniversario dell'infame sbarco in sicilia

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Messaggio  Admin Mer 10 Lug 2013, 05:22

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10 luglio 1943 – 10 luglio 2013: L’Italia tradita!

Isola di Pantelleria
I tradimenti cominciarono ben prima della resa dell’isola fortificata di Pantelleria, che gli italiani erano abituati a considerare una specie di Malta, cioè una base inespugnabile.

Il 10 giugno,  l’aviazione tedesca scopri che dal porto tunisino di Susa stavano partendo mezzi da sbarco con uomini e carri armati, l’isola di Pantelleria venne messa in allarme, alle 18,20 Supermarina, ritenendo che l’isola potesse resistere, almeno qualche giorno, propose al comando supremo che la difesa venisse prolungata finché la guarnigione aveva <>, ma si tratto di una pia illusione;  bastarono alcune ore di bombardamenti del nemico, senza causare grave danno alla maggior parte dei reparti, al sicuro nei sotterranei scavati nella roccia o alle istallazioni militari che mantenevano la loro efficienza, per indurre l’ammiraglio Gino Pavesi comandante della base, ha contattare il comando supremo, per informarlo che, a causa delle condizioni dell’isola, provava <>.    

L’ammiraglio Pavesi *, tradì la consegna e si arrese, al nemico, non appena apparvero le prime navi alleate. Una difesa, insomma, non sarebbe stata neppure tentata.
Quello fu un comportamento che la storia non potrà mai giustificare.    

L’isola era difesa dai caccia da combattimento italiani (mai sollevatosi in volo) da 180 cannoni, e più di 11.000 uomini, uomini che alle 11,30 del 11 giugno si consegnarono agli alleati che sbarcarono sull’Isola senza incontrare alcuna resistenza
L’ammiraglio G. Pavesi,  per questo suo vile atto, nel 1944 venne condannato a morte in contumacia da un tribunale della Repubblica Sociale Italiana.
Da un’inchiesta giudiziaria istruita nel dopoguerra risultò che l’isola aveva acqua e munizioni per resistere lungamente.
Il generale Eisenhower scrisse: ““Topograficamente Pantelleria presentava ostacoli quasi spaventosi per un assalto... Molti dei nostri comandanti, esperti ed ufficiali di S. M., erano decisamente contrari ad uno sbarco perché un fallimento avrebbe avuto un effetto scoraggiante sul morale delle truppe da impegnare lungo le coste della Sicilia”.

Il tradimento dell’ammiraglio G. Pavesi, agevolo la drammatica notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 lungo l’arco dei litorali che andavano da Licata a Gela e Scoglitti, e da Pachino a Siracusa, permettendo a radio Londra, la mattina di quel torrido << sabato fascista>>, di comunicare trionfalmente la notizia dell’avvenuto sbarco in Sicilia. Notizia che ormai correva sulla bocca di tutti, quando alle 13  l’Eiar diffuse il fatale bollettino n. 1141 del nostro quartiere Generale: <Le forze armate alleate contrastano decisamente l’azione avversaria; combattimenti sono in corso lungo la fascia costiera sud-orientale>>.

Alleati e la mafia
Lo sbarco in Sicilia fu consequenziale alla congiura contro l’Italia messa in atto dalla combinazione massonico-sionista, dal monarca, e dagli alti in grado militari.

La decisione di invadere la Sicilia era stata prese il 18 gennaio 1943 alla conferenza di Casablanca, cinque giorni prima dell’ingresso delle truppe britanniche a Tripoli, il presidente Roosvelt, il primo ministro Churchill e lo staff dei comandanti uniti concordarono che il passo successivo alla sconfitta delle forze dell’Asse in nord Africa sarebbe stato la conquista della Sicilia. Ad essa fu dato il nome in codice Operazione Husky (Cane Eschimese).
Una volta decisa l’Operazione Husky, il Naval Intelligence Service organizzò una apposita squadra (la Target section), incaricandola di raccogliere le necessarie informazioni ai fini dello sbarco della Sicilia. Fu così predisposta una fitta rete informativa, che stabilì preziosi collegamenti con la Sicilia, mandò nell'isola un numero sempre maggiore di collaboratori e di informatori. L'episodio più importante è quello che riguarda il ruolo avuto della mafia americana e siciliana nella preparazione dello sbarco, che allora, lo ricordiamo, aveva quale  “leader unico” Salvatore Lucania, meglio conosciuto come Lucky Luciano, il quale chiede ai servizi americani di essere messo in contatto con un altro mafioso, Joseph Adonis, boss di Brooklyn il quale si impegna a reclutare italo-americani con collegamenti in Sicilia.
La trattativa fra servizi segreti americani e criminali mafiosi passò attraverso l'Office of Strategic Services, (OSS), diretto dal generale William Donovan: gerarchicamente, l’OSS in Europa, che aveva la propria sede in Svizzera,
dipendeva da Allen Dulles.
Il diretto dipendente di Dulles in Italia era l’italoamericano di origine siciliane Massimo Corvo, noto come "Max" e detto in codice "Maral", numero di matricola 45. Max Corvo incominciò ad organizzare i propri uomini formando un'unità militare che, fra le forze armate americane era nota come the mafia circle (il circolo della mafia). Stabilì quindi ulteriori contatti con Lucky Luciano, Victor Anfuso, Vito Genovese, Albert Anastasia e altre persone delle organizzazioni criminali italoamericane. Inserite nell’operazione Underworld, un giovane raccomandato dallo stesso Lucky Luciano, Michele Sindona.

Gli agenti dell’OSS occuparono le isole più piccole intorno alla Sicilia, fra cui Favignana, liberarono dalla prigione numerosi boss della mafia, che furono arruolati nel servizio dell’OSS, circa 850 "uomini d'onore" raccomandati dai capi mafiosi siciliani, che dopo l'occupazione assunsero cariche pubbliche nell’amministrazione militare del colonnello Charles Poletti: in provincia di Palermo ci furono 62 sindaci mafiosi.
Un caso eclatante fu quello di Calogero Vizzini, nominato da un tenente americano sindaco di Villalba; nella cerimonia d'insediamento, fu salutato al grido di “Viva la mafia!”.

Per il nemico non aveva importanza che erano accusati di delitti o che erano analfabeti. Furono liberati oltre cinquecento mafiosi che il fascismo aveva confinato nell’isola di Ustica, tra essi il governatore americano Charles Poletti scelse i suoi più validi collaboratori, intorno a quali incominciarono a ruotare altri personaggi, “Massoni e politici", pur essendo vietata nell'isola qualsiasi attività politica.

Gli americani sapevano di avere un gravissimo problema che rischiava di esporre al fallimento l'intera missione: non avere informazioni e contatti sul territorio. Sfruttando l'abrogazione del "decreto Mori" in Sicilia (con cui Mussolini aveva fortemente limitato le libertà mafiose nell'isola) gli alleati iniziano a "reclutare" mafiosi che esercitano, con i pescherecci, lo spionaggio nel Mediterraneo, danno notizie sulle infrastrutture dell'isola, la dislocazione e la consistenza delle truppe dell'Asse in Sicilia, specie per le truppe delle retrovie che sarebbero sbarcate costituiva la preoccupazione principale dei comandi alleati: che scelsero la Sicilia con la certezza di poter contare, sull'appoggio della mafia.

Ad attestare l’avvenuto patto fra la mafia siciliana e le autorità militari statunitensi è la Commissione parlamentare antimafia, che in un suo rapporto conclusivo scrive: “La mafia rinascente trovava in questa funzione, che le veniva assegnata dagli amici di un tempo, emigrati verso i lidi fortunati degli Stati Uniti, un elemento di forza per tornare alla ribalta e per far valere al momento opportuno, come poi effettivamente avrebbe fatto, i suoi crediti verso le potenze occupanti”

La cospirazione degli altigrado militari
Come se non bastasse l’impegno mafioso, l’Italia aveva un l’ulteriore grave problema, l’infedeltà alla Patria degli altigrado militari, il più vile fu il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio che tradì il nostro popolo accettando la resa senza condizioni.
Badoglio inizia a cospirazione contro l’Italia fascista il 4 dicembre 1940, dopo la sua destituzione, sollecitata dal monarca, dalla carica di Capo di Stato Maggiore Generale.

A sostituirlo nell’incarico fu chiamato il generale Ugo Cavallero il quale senza mezzi termini si dichiarava un antitedesco (dopo l’otto settembre venne arrestato dai tedeschi che avevano trovato sulla scrivania del fuggitivo Badoglio, la lettera dove il generale Cavallero esplicava il suo essere antitedesco. Si suicido con un colpo alla tempia destra nonostante fosse mancino).        

Il vendicativo Badoglio, divenuto ormai il più acerrimo tra i nemici di Mussolini, confida al suo amico Cassinelli: <>.  

Negli ultimi giorni di giugno del ’43, Badoglio riceve in casa (la <> che aveva avuto in dono dal Governo Fascista), Bonomi, Casati e Bergamini, per mettersi d’accordo con l’impaziente maresciallo, il complotto prevedeva di  proporre al monarca l’immediata revoca di Mussolini e la formazione di un ministero che avrebbe dovuto riunire i capi dei diversi partiti politici. Si era anche discussa la linea generale dei provvedimenti politici da adottare subito. Ma lo scoglio da superare restava lo sganciamento dai tedeschi e la dichiarazione di armistizio.
Un impegno che Badoglio aveva potuto prendere per mezzo di persone fidate, in contato con personalità inglesi in Svizzera.

Badoglio affermò: <Mi misi allora in collegamento con il generale Ambrosio, che era succeduto al maresciallo Cavallero nella carica di Capo di Stato Magiore Generale. Esaminammo insieme la situazione, e convenimmo che non era più possibile ritardare la soluzione. Eravamo d’accordo che due erano gli obbiettivi da conseguire con estrema rapidità: l’arresto di Mussolini e di una mezza dozzina dei più importanti gerarchi, e la neutralizzazione della Milizia, specie della divisione corazzata, esistente nei pressi della capitale. Il generale Ambrosio riteneva che per unire, senza sospetti, le forze necessarie a Roma, gli occorrevano almeno una ventina di giorni.
A questo colloquio, avvenuto in casa mia (dice Badoglio), assisteva anche il duca Acquarone, che si riservò di informare il Re di quanto era stato deciso>>.

Ormai il generale Ambrosio, tramava al pari di tanti altri generali, verso il 15 luglio informa Badiglio che il 19 avrebbe avuto luogo convegno fra Hitler e Mussolini a Feltre al quale egli avrebbe partecipato.

Ambrosio, dalla sua alta carica, dopo l’incontro con Badoglio (al finire di giugno ’43), mira a demotivare il morale dei suoi sotto posti. Un cospiratore, che ancor prima dello sbarco esclude ogni possibilità di iniziativa del nostro Esercito. Dice gli manca, fra l’altro, il terreno. Esso non può contrattaccare il nemico sbarcato in un punto del territorio metropolitano e ricacciarlo in mare.
E dire che appena due mesi prima in un  rapporto diretto a Mussolini, da mediocre profeta aveva detto: <>

Questo lo spirito di grandezza che per quasi vent’anni era stato predicato e che aveva ingrassato, all’inverosimile, questi esseri paurosi ed incapaci, senza alcuna dignità.

Badoglio, dal giorno che aveva perso il comando  dello Stato Maggiore Generale era divenuto per il fascismo un grave problema, ma nessuno seppe accorgersene. Cosi pure le alte sfere dello Stato Maggiore Generale che operavano per raggiungere le condizioni per lo sganciamento dall’alleato germanico. Questo era divenuto lo scopo principale della loro politica.

Lo sbarco in Sicilia
All’inizio del 1943, ritenendo probabile uno sbarco nemico il generale Roatta, in una drammatica relazione evidenziava l’impossibilità di difesa delle coste della Sicilia, scrivendo: <>. Mettendo fuori discussione anche la superiorità aerea nemica.
Quella che si dimostro una triste realtà, dal generale Alfredo Guzzoni, suo successore al comando della sesta armata fin dal maggio 1943, non venne presa in considerazione. Di quella relazione non volle saperne, l'unica conclusione che trasse fu che lo sbarco sarebbe stato eventualmente, contrastabile solo quando si fossero palesate le vere intenzioni del nemico.

Eppure Guzzoni, doveva sapere che la Sicilia dista solo 90 miglia, attraverso il mare, dal nord Africa e appena due miglia dall’Italia continentale, attraverso lo Stretto di Messina, che essendo la più grande isola del Mediterraneo era un territorio appetibile per il nemico, anche se lungo la gran parte delle sue 1484 km di coste, c’è solo una stretta pianura costiera prima che aspre montagne si ergono ripide. L’unico lembo di pianura di una certa dimensione è la Piana di Catania sulla costa orientale.

È necessario ricordare che, il generale Guzzoni, nei primi giorni di luglio disponeva di 260.000 soldati; 175.000 italiani con 100 carri armati, 28.000 tedeschi  con 165 mezzi corazzati, oltre a 57.000 uomini per i servizi, fece trovare queste cospicue forze di difesa, di cui disponeva, del tutto impreparate, allo sbarco alleato. Aveva persino permesso la riduzione della forza aerea a 755 aerei utilizzabili, 430 tedeschi ( 250 dei quali  da combattimento ) e 325 italiani ( di cui 200 da combattenti ) molti di questi aerei non hanno, mai, ricevuto l’ordine d’alzarsi in volo.

Alla vigilia dello sbarco il comandante della squadra americana, l’ammiraglio Kent H. Hewitt, scopre di non avere nemmeno un ufficiale in grado di parlare italiano. Ne raccattano sei in fretta e furia, quattro sono originari di New York, sbarcheranno tra Gela e Licata, con la prima ondata del 10 luglio.

La notte del 9 luglio ha inizio l’operazione “Husky”, la 7^ armata statunitense, al comando del gen. George S. Patton, e l’8^ armata inglese del gen. Bernard Law Montgomery, a bordo di circa 1375 natanti, salpano dai porti della Tunisia alla volta della Sicilia (le due armate fanno parte del XV Gruppo di armate comandato dal gen. Alexander).
Già alle prime luci dell’alba del 10 luglio, precisamente  alle ore 4,45, lo sbarco alleato portava sulle coste del golfo di Gela e Siracusa: 160.000 uomini con 600 carri armati e 800 camion.
Durante le operazioni, caccia anglo-americani decollati da Malta e Pantelleria sorvolano in formazione i punti dello sbarco per respingere eventuali contrattacchi dell’Asse. A facilitare lo sbarco delle truppe anglo-americane contributi fortemente l’assenza della flotta italiana che benché numerosa e potente, era rintanata nei porti di Taranto e di La Spezia, nonostante i servizi segreti italiani fossero a conoscenza della data e delle località dello sbarco.  Un vero e proprio tradimento che permise alle navi inglesi ed americane di appoggiare tranquillamente con micidiali cannoneggiamenti le operazioni di sbarco e di avanzata delle truppe lungo tutta la costa fino a Messina.

Le forze britanniche, canadesi e americane unite, quel giorno assalirono, con successo, otto spiagge sul litorale sud-est e sud-orientale della Sicilia, gli americani della 7^ armata misero piede nel Golfo di Gela (tra Licata e Scoglitti), gli inglesi dell’8^ armata di Montgomery nel Golfo di Siracusa, tra il capoluogo e Pachino, grazie alla defezione in massa delle nostre truppe preposte alla difesa di quelle coste. Le maggiori defezioni riguardarono soprattutto le unità costiere; dopo aver sparato pochi colpi contro il nemico, i reparti si sbandarono arrendendosi al nemico o ritirandosi nell’entroterra; differentemente si comportarono le poche unità dell’esercito tedesco.  

Gli americani conoscevano non solo la dislocazione delle batterie e dei reparti italiani, ma anche i nomi degli ufficiali che li comandavano. Il loro sbarco nel golfo di Gela avvenne senza difficoltà, la 1^ divisione e i Rangers, dovettero affrontare i vigorosi contrattacchi della divisione tedesca Hermann Goring e della italiana Livorno, solo dopo aver conquistato Gela (verso le otto). Gli scontri termineranno alle 14 del 12 luglio, con la ritirata dei  tedeschi e la resa di molti soldati italiani. Alla fine gli americani  catturano 18.000 prigionieri.

Il Generale Guzzoni, improvvisando, ordina il contrattacco contro la linea della spiaggia che egli riteneva più pericolosa: quella di Gela. Dando alla Divisione di Herman Goering, di istanza intorno Caltagirone, il compito di attaccare da nord-est, assistito da due dei gruppi mobili italiani che erano già più vicini alla costa, la Divisione Livorno doveva fare lo stesso dal nord-ovest. L’attacco doveva essere forte e coordinato. Ma a causa delle cattive comunicazioni, l’ampio fronte visualizzato e spinto verso Gela si trasformò in una serie di attacchi indipendenti e scoordinati provenienti da piccole unità in vari momenti e in vari posti lungo il centro del fronte americano. Una strategia che si rilevo del tutto irrilevante.
In secondo luogo, egli ordinò che la Divisione ’15^ Panzergrenadier’, che aveva già completato uno spostamento verso la Sicilia occidentale, ritornasse sui propri passi al centro dell’isola.

Il generale Giacomo Zanussi, telefona al comando con voce concitata affermando: <
Il generale americano Patton, dette inizio alla marcia verso Palermo, nonostante al generale inglese Montgornert occorreva aiuto perché bloccato da una accanita resistenza tedesca a Catania. La sua marcia non incontrò, mai, forze di contrasto, conquisto l’isolato porto di Marsala, Trapani e Castellammare senza alcuna opposizione, il 22 luglio (sette giorni dopo lo sbarco) entrò a Palermo senza incontrare alcuna resistenza, per proseguire  verso la Città di Messina.

I reparti  inglesi entrano nella notte del 10 luglio a Siracusa praticamente senza trovare alcuna resistenza. Una gran massa di soldati, si trovò improvvisamente senza comando o in preda ad ordini contraddittori. Vide piazzaforti potentemente armate svuotarsi d'incanto dei propri superiori, specie quelli ai massimi livelli. Fu ordinato loro di distruggere treni blindati, cannoni, postazioni antiaeree, abbandonando tutto per ritirarsi. Anzi, per sbandarsi.
Nella notte tra il 12 e 13 luglio, dopo che le guarnigioni italiane, rimaste, erano fuggite verso nord nel totale scompiglio, la 17° Brigata entrò, senza trovare opposizione, nel porto navale di Augusta: i distruttori Exmoor e Kanaris in realtà erano entrati nel porto prima che le truppe arrivassero.
Il tradimento viene telegrafato dal colonnello germanico Schmalz nella giornata del 12 luglio, al suo comando: <>.

Gli inglesi sbarcano a Cassibile ( sede della ferma dell’armistizio breve) senza trovare resistenza. Entro le otto del mattino si erano assicurati la città.

Ambrosio, dimentico dell’ottimismo sfoggiato al primo annuncio dallo sbarco, su richiesta del maresciallo Badoglio, con un promemoria consiglia di anticipare la fine della guerra, risparmiando al Paese ulteriori lutti e rovine, dato che il risultato finale sarebbe indubbiamente peggiore fra uno o due anni. Nella fase attuale della guerra le Forze Armate italiane non posseggono più alcuna possibilità di iniziativa. Sono costretti soltanto e sempliciamente alla difesa.
Rimette una nota anche a Mussolini, nella quale dichiara che la sorte della Sicilia deve considerarsi segnata a breve scadenza di fronte all’assoluta impossibilità di fermare gli anglo-americani dopo lo sbarco,

Il maresciallo Badoglio si reca a colloquio con il monarca, per convincerlo ad abbattere la dittatura fascista, ricorda il promemoria del generale Ambrosio, coinvolgendo anche Maria Josè che sollecitava un cambiamento di Governo.

Dopo la destituzione di Benito Mussolini da capo del governo (e il suo successivo arresto), le unità italiane sull'isola si sbandarono completamente, lasciando le due divisioni tedesche presenti nell’isola: 15° Divisione ‘ Panzergrenadier’ e la Divisione ‘Panzer’ di Hermann Goering, da soli a contrastare i nemici del territorio siciliano.  Immaginiamo quale opinione si fecero quegli uomini di noi italiani.

Il 17 agosto 1943, la conquista della Sicilia da parte nemica viene completata con l’occupazione di Messina. Agli alleati bastato in 38 giorni “ di gita turistica”!
Questa vergogna fu possibile solo grazie alla compiacenza di tanti generali italiani, specie dell’aviazione e delle marina. Altrimenti sarebbe veramente inspiegabile il mancato uso della nostra flotta  ormai divenuta un peso, esposta a crescenti pericoli, cosi pure le limitate iniziative dell’Aviazione, la quale effettuo solo sporadici voli.

Ai Patrioti appariva chiaro che la capitolazione sarebbe stata la fine dell’Italia non solo come grande Potenza ma anche come semplice Potenza. Poiché la prima conseguenza della capitolazione –oltre alle altre ovviamente intuibili di carattere coloniale – sarebbe stato il disastro totale e permanente terrestre, marittimo, aereo. Come dimostra a 70 anni dallo sbarco, la pretesa americana di  realizzare il Muos  nel territorio del comune di Niscemi
*06/09/2017: Riportiamo la segnalazione d'abuso del Sig. M. P.
Vi invito e nel contempo diffido a:
1) ad eliminarel'aggettivo "indegno" con cui l'autore del post qualifica l'ammiraglio Pavesi;
2) a modificare la descrizione dei fatti avvenuti sull'isola di Pantelleria tra il giorno 8 maggio 1943 ed il giorno 11 giugno 1943 sulla base di quanto emerso dalle indagini della Commissione di inchiesta istituita dal Ministero della Difesa nel 1953 e di quanto riportato dai principali siti inglesi e americani circa l'operazione Corkscrew che attestano inequivocabilmente l'imposibilità di proseguireoltre nella difesa della base.
in mancanza, mi vedrò costretto a presentare formale querela per l'arcertamento della sussistenza dei reati di diffamazione e calunnia a mezzo stampa.
Distinti saluti
Marco Pavesi
mpavesi@lpo.it

Il Sig. Pavesi, sa bene che la Storia la scrivano i vincitori e di questo vuole avvalersi!
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